Sulla decarbonizzazione, Italia da podio

Decarbonizzazione
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Con Deloitte, che ha condotto diversi studi sul tema, abbiamo analizzato lo scenario, contraddistinto sempre più dallo spostamento del mix energetico dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

Il processo di decarbonizzazione, cioé di riduzione del rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti di energia, è fondamentale al fine di abbattere le emissioni di CO2 e tracciare la giusta direzione per contenere il surriscaldamento del Pianeta. Oltre ad avere condotto diversi studi sul tema, Deloitte, azienda di consulenza strategica, da sempre accompagna le imprese di tutto il mondo a raggiungere gli obiettivi di business, anche in ottica di sostenibilità. Con Angelo Era, partner Deloitte, abbiamo analizzato il punto della situazione proprio sulla decarbonizzazione e il futuro dell’energia, in uno scenario contraddistinto sempre più dallo spostamento del mix energetico dai combustibili fossili alle energie rinnovabili.

 

La situazione italiana

Buone notizie per l’Italia che, a differenza di ciò che si potrebbe comunemente pensare, è tra le aree geografiche che sta più velocemente e più concretamente procedendo nella direzione della transizione ecologica. «Siamo messi bene» dice Angelo Era « l’indicatore principale di questa transizione è l’intensità carbonica, quindi il rapporto tra l’emissione di gas serra e il prodotto interno lordo. In Italia questo valore si attesta al di sotto della media europea del 15%. Inoltre, un altro valore che sottolinea il nostro trend positivo è la percentuale di energia prodotta da rinnovabili sul totale della generazione elettrica: siamo intorno al 43% contro la media europea pari al 38%. Quindi possiamo affermare di essere in un contesto avanzato in termini di decarbonizzazione».

 

Le due leve strategiche

«Abbiamo realizzato diversi studi sulla transizione energetica» continua Angelo Era «coinvolgendo i diversi settori (trasporto, building, industria), poiché il discorso si amplia e articola in più ambiti. Volendo fare una sintesi, si può parlare di due leve: il risparmio energetico e l’elettrificazione». Per il primo asset, l’obiettivo è aumentare la produzione utilizzando meno energia, quindi ridurre l’energia che serve per la fabbricazione dei prodotti e per tutte le attività umane. La seconda leva si può, invece, concretizzare con lo sviluppo delle reti di distribuzione dell’energia elettrica che «devono diventare smart e riuscire a bilanciare la produzione intermittente, consentendo di consumare e produrre energia da prelevare o immettere in rete, secondo necessità».

Nell’ottica della decarbonizzazione, inoltre, occorre potenziare le colonnine ricarica che devono essere più veloci.

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Industria “Power”

«La nostra industria nel settore “power”» prosegue Era «ha abbracciato in modo convinto e con investimenti importanti la transizione verso il rinnovabile, molto più di altri Paesi. Se nell’automotive siamo indietro, sul “power” siamo decisamente messi bene, con le reti più avanzate del mondo, così come è aumentata la diffusione del contatore elettrico per le utenze finali. Si tratta di un primato tecnologico che dobbiamo mantenere». Un ruolo chiave è stato esercitato dagli incentivi – peraltro in evidente fase di riduzione – in funzione dei risultati ottenuti. «Negli ultimi 5 anni» prosegue Era «la percentuale di energia elettrica da rinnovabili incentivata è passata dal 61 al 53% perché pian piano le tecnologie come l’eolico e il fotovoltaico, grazie al loro progresso, iniziano a diventare competitive e non hanno più bisogno di incentivi».

 

Obiettivi più alti

Da studi condotti da Deloitte nel 2017, già era emersa la debolezza dell’obiettivo del solo 40%, non in linea con la visione al 2050 dell’accordo di Parigi. E «proprio di recente, il nuovo piano proposto dalla commissione europea ha innalzato in modo importante gli obiettivi di decarbonizzazione. Inizialmente si era stabilito di arrivare al 40% di riduzione delle emissioni al 2030, mentre la proposta in questi giorni è un salto importante: spostare questo obiettivo dal 40 al 55%».

La domanda è: cosa fare per andare incontro a questo rialzo di asticella?

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Angelo Era, partner Deloitte

Si può agire su più fronti. Il primo è l’ambito dei trasporti con la riduzione del 55% delle emissioni e i relativi sottosettori, quindi automobili, trasporto merci leggero e pesante, trasporto navale e aereo. «In questo segmento» conclude Era «l’elettrificazione dell’auto è un fattore determinante e purtroppo, l’Italia sta facendo registrare pochi progressi». In questo contesto, infatti, il nostro Paese ha ancora molto da fare poiché rispetto ad altri colossi europei, l’industria automotive italiana si è mossa timidamente e ora si trova in una posizione decisamente arretrata. Ma senza dubbio, il trend che l’automotive ha stabilito è il passaggio totale all’elettrico. Altro “tema caldo” è il riscaldamento, specialmente del terziario. «In ambito europeo ci sono interventi importanti con obiettivi ben definiti e più recentemente si sta parlando di una revisione dei meccanismi per andare a definire un prezzo della CO2. Si pagheranno ancora di più le emissioni e si amplieranno i settori sottoposti al pagamento delle emissioni oggi esclusi ».

 

Il carbon border adjustment: il costo della CO2

Il meccanismo di adeguamento delle emissioni importate, chiamato in ambito europeo carbon border adjustment mechanism è un’imposta introdotta per proteggere l’industria europea in fase di decarbonizzazione da player esterni che non sono soggetti ai rigidi obiettivi climatici dell’Unione europea.

La proposta di inserire delle tasse per tutte le importazioni in Europa da parte di Paesi che non applicano costi alla CO2, ha l’obiettivo di evitare che le attività economiche vengano trasferite dove la CO2 prodotta non costa nulla. Ciò significa per le aziende estere la scelta di adeguarsi o di essere soggette a tasse di importazione». L’idea di base è quindi far diventare conveniente produrre, già computando un costo alla CO2, ma si tratta di un percorso ancora lungo; una proposta che deve essere declinata e recepita dai vari Stati.

«C’è un iter che durerà mesi e anni. Alcune misure saranno veloci, altre meno, ma siamo convinti che le leve applicate siano quelle giuste e quindi siamo sul percorso corretto. L’Italia non deve essere affatto spaventata poiché siamo a buon punto, non subiremo conseguenze dall’eventuale carbon border adjustment».

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