Le green community sono pronte alla transizione

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Una grande occasione che unisce territori in quota con le aree a valle. Ce ne parla Marco Bussone, presidente di Uncem, l’unione nazionale dei comuni e comunità enti montani

C’è una nuova “corda doppia” che oggi unisce le terre alte con le aree urbane e metropolitane. Sono le green community, zone verdi e rurali collocate in aree montane e istituite a supporto dello sviluppo sostenibile dei relativi territori, che, al fine di mantenersi vive, hanno stretto un patto. Del resto, collaborare nell’ottica di fare sistema, valutare e pianificare con attenzione ogni passaggio sono i valori che riflettono da 70 anni l’anima di Uncem, l’unione nazionale dei comuni e comunità enti montani. A spiegarci la sfida importante per la sopravvivenza di queste comunità è Marco Bussone, presidente di Uncem, che vive in montagna con la sua famiglia e rappresenta un concreto esempio di chi ha scelto di vivere nelle “terre alte”.

 

Quali sono i punti salienti di Uncem e la strategia che adottate?

Uncem è come una sorta di sindacato delle montagne, vuole essere uno stimolatore di sviluppo. Vi aderiscono i comuni e le comunità montane, ma anche le provincie e altri enti che operano in montagna. Rappresenta gli enti a livello nazionale regionale presso gli organi competenti per esaminare i provvedimenti di interesse montano. Gli scopi sono diversi, ma ruotano tutti attorno a un perno comune: il coordinamento delle attività degli enti montani.

 

Quali sono gli obiettivi delle green community?

Le green community vogliono essere lo strumento adeguato per i territori difficili, quelli non sempre agevoli da raggiungere. Magari sono le zone colpite da incendi o da calamità naturali come la tempesta di Vaia. Vogliamo porre al centro la condivisione delle esperienze e delle conoscenze l’unione e il trasferimento di buone pratiche. È, infatti, con l’unione di vedute e conoscenze che è possibile plasmare territori, rigenerare borghi abbandonati, contrastare lo spopolamento l’abbandono e rigenerare In queste zone è importante rafforzare la volontà di sopravvivere agli imprevisti dove i rischi idrogeologici ormai sono frequenti. “Smart” e “Green” sono due pilastri dello sviluppo economico che nelle aree montane e rurali si uniscono agli storici propri pilastri ovvero agricoltura e turismo.

 

In quale direzione stanno andando i territori delle nostre montagne e quale ruolo assume l’innovazione?

Siamo in una dimensione di nuovo protagonismo dei territori, nei quali le “piccole Italie” sono chiamate a pianificare il loro futuro, a guardare all’Europa per grandi progetti e finanziamenti, ad avere un nuovo ruolo basato sul riequilibrio territoriale. Purtroppo, alla pubblica amministrazione queste strategie sembrano interessare poco. E come dare torto al

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Marco Bussone, presidente di Uncem

Sindaco che fatica a chiudere la buca nelle strade, a togliere la neve, a gestire il pareggio di bilancio? Peraltro, senza un apparato comunale che è portato all’innovazione, un po’ troppo burocratico, svogliato e mai reintegrato da nuove leve. Eppure, siamo certi che l’innovazione e l’essere smart, uniti alle declinazioni della green e circular economy, siano la chiave del futuro per le aree interne e rurali del Paese. La rivoluzione digitale e le scelte capaci di esaltare i beni ambientali e paesaggistici (dunque green) dei territori sono efficaci motori di innovazione anche per tante vallate alpine che vogliono tornare, dopo anni di abbandono, nuovi spazi di vita e di crescita con nuovi posti di lavoro, imprese agricole, artigiane, turistiche. È l’innovazione digitale ad accorciare oltre a soluzioni diverse di sistemi informativi che rendono più efficace ed efficiente la pubblica amministrazione oltre che le imprese stesse.

 

Da dove nascono le green community e quale strategia adottano?

Le green community sono entrate nella legge n. 221/2015, il collegato ambientale alla legge di stabilità 2016, con una precisa “Strategia” per le aree montane, che impegna gli enti territoriali, non i Comuni da soli. Questi – grandi o piccoli che siano – non possono, infatti, lavorare da soli, pensare di bastare a sé stessi, restare nei confini. Devono essere aperti – come effettivamente sono – e puntare a costruire comunità per camminare insieme. Nelle green community si costruiscono strategie per la gestione integrata e certificata del patrimonio forestale, anche tramite lo scambio dei crediti derivanti dalla cattura dell’anidride carbonica, la gestione della biodiversità e la certificazione della filiera del legno.

Quali requisiti servono?

 

L’articolo 72 della legge n. 221/2015 e la misura del PNRR nella Missione 2 delineano un perimetro chiaro di azione. Il piano di sviluppo sostenibile, oltre a evidenziare la necessaria pianificazione in ambito energetico, prevede i seguenti punti da porre in evidenza per impostare il piano d’azione

  • gestione integrata e certificata del patrimonio agro-forestale, anche tramite lo scambio dei crediti derivanti dalla cattura dell’anidride carbonica, la gestione della biodiversità e la certificazione della filiera del legno;
  • gestione integrata e certificata delle risorse idriche;
  • produzione di energia da fonti rinnovabili locali, quali i microimpianti idroelettrici, le biomasse, il biogas, l’eolico, la cogenerazione e il biometano;
  • sviluppo di un turismo sostenibile, capace di valorizzare le produzioni locali;
  • costruzione e gestione sostenibile del patrimonio edilizio e delle infrastrutture di una montagna moderna;
  • efficienza energetica e integrazione intelligente degli impianti e delle reti;
  • sviluppo sostenibile delle attività produttive (zero waste production);
  • integrazione dei servizi di mobilità;
  • sviluppo di un modello di azienda agricola sostenibile che sia anche energeticamente indipendente attraverso la produzione e l’uso di energia da fonti rinnovabili nei settori elettrico, termico e dei trasporti.

 

Chi sono a oggi le green community e come ci si candida a farvi parte?

Le prime tre aree italiane che avvieranno una strategia sui loro territori con le risorse stanziate dal Pnrr sono la green community “La Montagna del latte” dell’Unione montana dell’appennino reggiano (Emilia Romagna), quella delle terre del Monviso (unioni montane delle valli Po e Varaita, Piemonte) e quella del parco regionale Sirente Velino (Abruzzo). Entro settembre 2022, tramite bando del Ministero degli Affari regionali, saranno individuate altre 27 green community in Italia. Con il Pnrr si dà ulteriore sostanza al percorso che dovrà continuare non solo nelle 30 aree, ma in tutte le zone montane italiane, passando per comunità montane e unioni montane, spingendo tutti gli enti sovracomunali a dotarsi di una strategia di “comunità verde” proiettata al 2050. Complessivamente, nel Pnrr ci sono 135 milioni di euro a disposizione. Sono il motore di questa strategia. Risorse che permettono alle prime tre aree e poi alle 27 scelte con bando di dire come stanno nel futuro, come affrontano le transizioni ecologica ed economica, come investono e quali sono le azioni future.

 

Qualche esempio concreto?

Ad esempio per la gestione forestale, attuando la Strategia forestale nazionale. Oppure costituendo una comunità energetica, praticando agricoltura in aree fragili sui versanti, oppure agendo sulle risorse idriche e sui rifiuti e concertando la strategia con altri soggetti istituzionali, privati e pubblici. Il piano di ciascuna green community italiana è modellato dai territori, che individuano ambiti di azione, potenzialità opportunità, urgenze, investimenti.

 

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Chi sono i beneficiari di questa valorizzazione?

Nella legge 221/2015, il collegato ambientale alla legge di stabilità 2016, sono indicati i Comuni, le loro unioni, le aree protette, le fondazioni di bacino montano integrato e le organizzazioni di gestione collettiva dei beni comuni. Lo stesso provvedimento assegna premialità ai Comuni uniti nelle green community che utilizzano, in modo sistematico, sistemi di contabilità ambientale e urbanistica e forme innovative di rendicontazione dell’azione amministrativa. Ecco il cambio di paradigma che si completa. E noi vogliamo crederci fino in fondo.

 

I servizi svolti dai territori
  • fissazione del carbonio delle foreste e dell’arboricoltura da legno di proprietà demaniale, collettiva e privata;
  • regimazione delle acque nei bacini montani;
  • salvaguardia della biodiversità delle prestazioni ecosistemiche e delle qualità paesaggistiche;
  • utilizzazione di proprietà demaniali e collettive per produzioni energetiche;
  • interventi di pulizia e manutenzione dell’alveo dei fiumi e dei torrenti;
  • agricoltura e territorio agroforestale, territorio gestito con remunerazione degli imprenditori agricoli che proteggono, tutelano o forniscono i servizi medesimi.

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