La svolta sostenibile del tessile

La svolta sostenibile del tessile
La svolta sostenibile del tessile
Dal 1° gennaio 2022 in Italia partirà la raccolta differenziata anche per questo tipo di rifiuti. Obiettivo: ridurre il consumo di materie prime minimizzando l’impatto di CO2 per la produzione e risparmiando anche sulle importazioni. Una sfida possibile? Secondo Daniele Gizzi, responsabile “Ambiente ed economia circolare” di Confartigianato, sì, ma soprattutto indispensabile

La svolta sostenibile del tessile.
Rifiuti tessili: indumenti usati raccolti nei cassonetti, ma anche lenzuola, tovaglie e tutto ciò che si può fabbricare con la stoffa. In più, ci sono gli scarti delle lavorazioni, un panorama tanto vario quanto lo sono le qualità dei tessuti, sia naturali sia sintetici. Per questo tipo di rifiuto, dal 1° gennaio 2022 partirà in Italia la raccolta differenziata – con tre anni di anticipo rispetto agli altri Stati della Ue. Lo scorso settembre è entrato in vigore il decreto 116/2020 su rifiuti e imballaggi che ha recepito la direttiva comunitaria 851/2018 (parte di un pacchetto di direttive finalizzate allo sviluppo dell’economia circolare).

La svolta sostenibile del tessile: un settore in prima linea

Oggi il comparto del tessile è il quarto settore industriale per consumo di materie prime e acqua (dopo alimentare, edilizia e trasporti) ed è il quinto per emissioni di CO2. «In base a dati del 2018 elaborati da Ispra – spiega Daniele Gizzi, responsabile “Ambiente ed economia circolare” della Confartigianato – in Italia i rifiuti tessili da raccolta urbana ammontavano a 146 mila tonnellate, con una crescita del 10% rispetto all’anno precedente. Un numero tuttavia sottostimato che non considera la grande famiglia dei tessuti per l’arredamento. Degli indumenti recuperati nei cassonetti il 68% viene riutilizzato, il 29% è trattato con specifici impianti che li rigenerano per estrarne nuovi filati e il 3% finisce in discarica. Una percentuale, questa, che potrebbe essere ridotta. Un esempio? Il “Sistema Prato” tratta ogni anno 240 tonnellate di materiale riciclato».

La svolta sostenibile del tessile: l’opportunità dei rifiuti

La gestione dei rifiuti tessili in un’ottica circolare rappresenta oggi una grande opportunità di svolta per le 55 mila piccole e medie imprese che operano nel settore della moda made in Italy e per i loro 309 mila addetti. Saranno pronti gli imprenditori alla scadenza del prossimo 1° gennaio?

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Daniele Gizzi

La svolta sostenibile del tessile: la responsabilità del produttore

«Il decreto 116 e la Commissione Ue – risponde Daniele Gizzi – fanno riferimento alla responsabilità del produttore e alla gestione collettiva del settore con la creazione di gruppi e associazione di categoria. Al momento c’è molto fermento e diverse organizzazioni stanno per costituirsi per poi ricevere il riconoscimento dal ministero della Transizione ecologica».
Nel settore tessile si discute sull’esigenza di sostituire i materiali vergini con le fibre riciclate, ma su scala internazionale siamo ancora indietro: si stima che l’87% di questi prodotti finisca in discarica o negli inceneritori e che il 13% dei tessuti venga riciclato, ma con usi di valore inferiore. Solo l’1% è riciclato e trasformato in nuovi abiti. Indubbiamente, resta ancora molto da fare, soprattutto se si tiene conto che, a livello mondiale, i settori estrazione e lavorazione delle materie prime oggi producono il 60% delle emissioni di CO2, mentre il restante 40% è rappresentato da mobilità e riscaldamento.

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La svolta sostenibile del tessile: l’importanza del recupero

«Recupero – conclude Gizzi – significa anche abbattimento dei costi. Le nostre aziende importano grandi quantità di tessuti di origine naturale e questa filiera rappresenta un’eccellenza del made in Italy. Maggiore recupero, quindi, minori importazioni. Il problema è che gli scarti pre-consumo, i ritagli di sartoria, oggi sono considerati dalla legislazione veri e propri rifiuti e sono gestiti da un complesso sistema di lacci e laccioli, come di dice. Per questo chiediamo alla Commissione Ue di riconoscere questi scarti come sottoprodotti da riutilizzare, grazie all’emanazione di regolamenti comunitari in tema di end of waste».

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